Quando mi è stato chiesto di intervenire sull’argomento “violenza sulle donne”, la prima cosa che ho cercato di chiedermi è cosa sia la violenza sulle donne, quali origini e quali forme abbia.. ma allo stesso tempo mi sono resa conto che mi è difficile trattare questo argomento in modo selettivo e specifico, perché per il mio sentire, la violenza è violenza, sia essa ai danni di bambini, di donne, di etnie, di vicini di casa, di nemici ideologici, di esponenti di religioni diverse...anche di animali


La seconda è stata quella di cercare di non essere scontata o banale nel cercare risposte o fare proposte...


La violenza ha una miriade incalcolabile di aspetti e “sfumature”, paradossalmente legati anche alla cultura in cui si manifestano, e farciti da perversioni individuali, perciò mentalmente, posso fare riferimento solo alla violenza in cero senso più vicina: violenza domestica, stalking, omicidio, stupro (che peraltro considero doppiamente grave, dal momento che è qualcosa che poi ci accompagna giorno per giorno, come passeggiare con la nostra gemella morta costantemente a fianco...)


Personalmente ritengo che ogni forma di violenza abbia due aspetti di fondo che si sostengono reciprocamente: l’incapacità di riconoscere l’altro come simile a sé in quanto essere vivente al di là di qualsiasi altra classificazione e il riconoscere “normali” determinati comportamenti.


Avete mai pensato che la parla “normale”, che spesso usiamo, non è affatto sinonimo di “giusto”?

Io ho la netta impressione, invece, che “rientri nella norma” una azione che viene ripetuta in modo assiduo, fino a scivolare nella connotazione di “accettabile”, “ammissibile”...


Purtroppo, uno degli strumenti che rendono “normali” certi eventi è la televisione...


Popper e Condry, filosofi della comunicazione di massa e coautori del libro “Cattiva maestra televisione”, riportano già in copertina la loro opinione illuminante sullo strapotere della televisione sottolineando che nessuna azienda sarebbe così sprovveduta da spendere migliaia e migliaia di euro in pubblicità televisiva se questa non producesse un tornaconto!!

Detto questo, avete mai pensato che quando si guarda la televisione, determinati atti di violenza sono propinati con la stessa frequenza dei caffè al bar?


Certo, non tutto il male nasce dalla televisione, ma queste immagini, così familiari, così quotidiane, così domestiche, così ampiamente ripetute e incontrastate, alcune di fantasia e altre di cronaca, finiscono per rientrare appunto nella normalità, e di conseguenza nel vivere quotidiano.

Diventa normale picchiare una donna, stuprarla, mostrarla...

...salvo poi sorprenderci o addirittura scandalizzarci quando questi stessi fatti si incontrano nelle vita reale....

Non dico nulla di nuovo se parlo di filmati trasmessi dai telefonini o scaricati in internet!!


Non voglio dar spazio all’educazione alla violenza, ossia a quel gioco perverso del ”ti racconto qualcosa, tu immaginala, e magari falla anche tua: forse un giorno la potrai usare e addirittura perfezionare”, come fanno solitamente telegiornali, stampa e programmi di approfondimento. Preferisco usare il nostro tempo in modo più propositivo e costruttivo: meglio cercare, se non soluzioni, quantomeno intenti volti a contrastare questo deprecabile fenomeno.


Se è vero che talvolta la violenza, se si manifesta in maniera brutale, può essere fermata o quantomeno punita dalla Legge, è altrettanto vero che molte altre forme di violenza più nascoste e più sottili, possono essere fermate solo grazie alla propria consapevole volontà.


Platone affermava: ”E' più virtuoso l'uomo che obbedisce alla legge interiore, piuttosto che l'uomo che obbedisce perché ha paura della punizione della legge.”


Perché faccio questo riferimento? Perché questo è il mio approccio di fondo: una formazione, un’educazione, scolastica e non solo, alla percezione dell’altro come essere simile a me, in grado di gioire, soffrire, sognare, sperare, lottare, ma allo stesso tempo distinto da me e certamente degno di rispetto.


Quando riusciremo a creare una cultura di questo tipo, la violenza non troverà più spazio per essere!


Gandhi focalizzava le tendenze inconsce alla violenza prendendosi la briga di annotare ogni sera, in due colonne separate, la azioni di violenza fisica e passiva viste durante il giorno...comprese le proprie!

Osservava la relazione tra violenza passiva e fisica, molto simile a quella che c’è tra benzina e fuoco: dobbiamo avere ben chiaro che la frustrazione, la disperazione, il sentirsi inferiori, sentimenti generati talvolta anche dal semplice insulto o dalla derisione, genera rabbia, che può benissimo scaturire in aggressione!

E insegnava agli altri di prendersi la stessa briga di osservare e osservarsi...


Vorrei riprendere in un paio di esempi pratici il pensiero di Gandhi e il mio sulla “normalità”: quanti di noi, uomini ma anche donne, sono pronti a fare battute su una ragazza sexy, o dal seno prosperoso, o troppo giovane o troppo vecchia rispetto al proprio compagno o semplicemente straniera?


Sotto la luce della “normalità”, accettare, condividere, ridere di queste cose, può sembrare innocente: è comunque una manifestazione del pensiero comune, dell’idea corrente, e rimane in ogni caso una mancanza di rispetto in questo caso proprio verso la figura della donna, assenza di rispetto che sedimenta nelle nostre menti fino a sfociare in espressioni del tipo “se l’è cercata, se l’è voluta”, mettendo a tacere ogni forma di sana indignazione.


Vista con la sensibilità di Gandhi, quanta violenza attiva e passiva è già stata messa in gioco?


E quando si giudica una persona dall’aspetto? Questo giudizio che a volte è espresso e a volte è sottinteso, ma che fa comunque sentire imperfetti, inadeguati, insoddisfatti di sé, non è già una forma di violenza? Non nasce dall’idea astratta e assurda che l’altro valga poco o niente perché lontano dal modello di una presunta perfezione che non esiste? Sentirsi in dovere di dimagrire, farsi plastiche, indossare calzature scomodissime per ritenersi accettabili o adeguate, non è sottostare a una silenziosa violenza?


E se potrebbe essere relativamente “facile”, formare al rispetto e alla non violenza le nuove generazioni resta il grosso scoglio di trasformare un ambiente sociale rigido, preconcettuoso ed egocentrico: chi di noi, davanti ad un momento di frustrazione o di impotenza non ha mai aggredito verbalmente la persona che aveva accanto? Presumo tutti. Quanti invece spiegano con calma e verbalmente il proprio sentirsi fragili, inadeguati, non all’altezza per quello specifico momento?


Diventa quindi una grande ipocrisia trattare gli altri, e fra questi ovviamente la donna, con superiorità, salvo poi lamentarci che siamo in un mondo violento e senza valori.


Quindi non ci resta che sfidarci ad essere rivoluzionari nella mente.

Siamo tutti in grado di imparare ad assumerci la nostra parte di responsabilità nella trasformazione di questa società: certo però che questo comporta impegno in prima persona, comporta osservare i propri pensieri e fermarsi un attimo a chiederci perché facciamo determinate cose e trovare per esse nuove abitudini alternative.


Dunque, «Dobbiamo essere il cambiamento che desideriamo vedere», come affermava Gandhi, perché la società, ricordiamolo, è la somma degli individui, cioè si manifesta secondo la somma delle nostre azioni.


A volte certi esempi sono scontati, ma funzionali: vi ricordate negli anni 70/80 quante cabine telefoniche c’erano in giro? Un bel giorno vi siete guardati intorno e, sorpresa!, non ne avete trovata più nessuna. Nessuno si è messo d’accordo col proprio vicino di non voler più vedere cabine in giro: semplicemente ciascuno, individualmente, ha fatto la sua scelta acquistando il telefonino, e ha influenzato il tessuto sociale al cambiamento.

Questo è ciò che possiamo fare anche contro la violenza.


Vi chiederete, forse, perché io continui a parlare di violenza in generale e non specificatamente di quella sulla donna, perché non punti il dito su nessuno.


Non posso, perché tutti noi, nessuno escluso, possiamo fare qualcosa di diverso!

Possiamo scegliere di dire più buongiorno; di sorridere guardando in faccia le persone, anziché attraversarle come fossero trasparenti o abbassare lo sguardo quando incontriamo qualcuno; possiamo scegliere di dire “come stai?” e soprattutto di ascoltare la risposta; possiamo decidere di chiedere se serve aiuto e agire di conseguenza...


Faccio un piccolo esempio: pochi giorni fa, orario di punta, 2 donne in panne in circonvallazione. Io e il mio compagno dietro di loro. Io con le stampelle per fortuna non potevo spingere, ma lui è sceso. Non a caso ho detto “per fortuna”: ho dovuto fare loro da scudo con la macchina, perché potessero attraversare incolumi la strada: oltre a noi, nessuno ha rallentato e tanto meno si è offerto di dare una mano. Tutti strombazzavano e, infastiditi, passavano a pelo di queste tre persone. Io e il mio compagno sappiamo che in quel momento abbiamo fatto la differenza. Abbiamo ridotto l’ansia e lo scoraggiamento di quelle due donne. Abbiamo offerto loro l’opportunità di provare dentro di se’ un senso di gratitudine che smorzava proporzionalmente anche la loro rabbia di non essere comprese nella difficoltà.

Sono anche certa che qualcuno, distratto, si sarà reso conto della situazione in un secondo tempo, e avrà pensato che un’altra volta potrà fare altrettanto.


Credo di avervi dimostrato che possiamo imparare tutti a fare la differenza.

Abbiamo la possibilità di scegliere sempre quale segno lasciare in chi ci è accanto, a prescindere che venga o meno recepito in modo immediato.

In ogni caso, un atteggiamento aperto, una parola gentile, un attimo di ascolto, sono già espressione di nonviolenza attuabile nel quotidiano.


E fino a qui, le mie parole valgono per tutti. Ma c’è chi può fare di più. Sono gli insegnanti e determinati professionisti della comunicazione: Queste persone hanno una responsabilità ancora più grande, perché hanno un ruolo maggiore nella formazione delle persone.


Un insegnante che si impegni ad essere il migliore possibile, che insegni il valore dell’individuo, che si impegni a dialogare con i ragazzi, anziché a giudicarli e basta, che si ricordi che il programma è importante, ma la persona viene prima, otterrà due grandi risultati contemporaneamente: che gli allievi siano sereni e che siano bendisposti all’apprendimento.

E l’essere bendisposti all’apprendimento, apre, a rosa, altre possibilità.

L’istruzione permette di allenare la mente al pensiero, permette di essere curiosi e conoscere, permette di fare confronti e scegliere, permetta di capire che nulla è ineluttabile, permette di prendersi in mano e costruire la propria vita secondo le proprie inclinazioni, permette di scegliere lavori che possano a loro volta essere dignitosi se non preziosi per sé e per gli altri, permetta di trovare strategie per proteggersi qualora fosse il caso...


Quindi vi rinnovo il mio costante e paziente invito a non perdere mai l’occasione di fare ciascuno la nostra parte, e noi donne, proprio perché donne, madri e compagne, abbiamo, a mio avviso, come sempre, il compito di essere ancora più attente e presenti alle nostre azioni!


Paflasmos