Cari Pirati di Mare e di Terra, ancora una volta io, con il mio Bastiàn Contrario, voglio dirvi
grazie: grazie per l’ascolto e il sostegno che mi date sempre, qui nella Baia dei Pirati di
www.yastaradio.com, ma grazie soprattutto perché anche voi vi impegnate a “pensare”,
che non è esattamente uno sforzo che tutti hanno voglia di fare...
Oggi, dove vi porterò con il mio bordeggio? Da dove partiremo, ma soprattutto, dove
approderemo tra racconti, riflessioni e considerazioni?
Salite a bordo, aprite il cuore e lasciate alla deriva i pregiudizi...
Sono stata alla festa di passaggio dei bimbi dell’asilo.
Per una nonna , come sono io, vedere la prima e amata nipotina ricevere il diploma per
affrontare le elementari, era ed è un’emozione grande, così come vedere mia figlia
commuoversi delle stesse lacrime che a suo tempo hanno bagnato le mie guance.
Devo dire che è stata una festa particolarmente bella e ben riuscita: più di 100 bambini
coordinati e agghindati dalle loro maestre con nuvole fulmini e grandi gocce argentate a
raffigurare l’acqua. Cappello nero quadrato da neo laureati e diploma con foto della classe
per i grandi.
Mamme disponibilissime a collaborare e partecipare alla festa in veste di costumiste,
creatrici di giochi e attrici.
Una delle cose più belle, era vedere in questa scuola classi in cui la sfida e il successo è
l’integrazione: bimbi dai nomi più nuovi per le nostre orecchie, bimbi di tutte le sfumature,
bimbi dagli occhi più tondi o più sottili, ma tutti bimbi con sorrisi enormi e sguardi
scintillanti , intrisi dell’ orgoglio e della fierezza delle loro prodezze canore e danzanti e che
raccontano “caspita, io sono una personcina importante! Qui ci sono persone che
aspettano solo di guardare me!”
Mamme...tutte bellissime nei loro abiti leggeri, eleganti ma non troppo “perchè sai, in fondo
è solo una festa all’asilo”, abiti tipici che raccontavano la storia di viaggi fatti da lontano...
Insomma, un mix di umanità caldo, leggero ed entusiasta.
Poi, quasi nello stesso istante sento un rombo nel cielo e mi viene da girarmi alla mia
destra: un giovane che guarda in su, è in divisa, è dell’aeronautica.
Sopra stanno passando 2 aerei militari, con tutta la loro prepotenza.
In un istante mi sento confusa: sono due immagini, due aspetti di una stessa triste storia
che insieme si sovrappongono sul bello in cui, egoista nel mio amore per la mia nipotina e
per la mia famiglia, mi ero bellamente immersa.
I pensieri si fanno ambigui: quasi che il “piccolo” riesca a prendere le distanze dall’empietà
del “grande”.
Una divisa, per me non rappresenta mai la Pace.
Una divisa è una divisa e come tale, indica solo e sempre guerra.
Pertanto, in una festa di bambini una divisa è fuori luogo in modo sostanziale ed
intrinseco.
Però, lui, non è una divisa: è un padre. Un padre che indossa una - maledetta - divisa.
Certamente un padre che, indossando quell’accidente di divisa e agendo attraverso essa,
crede di fare la cosa giusta.
Lo crede esattamente come io credo che fare la cosa giusta NON sia fare la guerra.
Lo crede per sé e per la sua famiglia, per il futuro dei suoi bambini e di quelli che verranno.
Esattamente come io credo che per la mia famiglia, per il futuro delle mie nipotine e di
quelli che verranno, la cosa giusta sia costruire la Pace.
Sono confusa: maledettamente confusa.
Una parte di me, vorrebbe saltargli addosso e strappargli via quella maledetta mimetica,
insultare la guerra e tutti quelli come lui che non si rendono conto che la guerra non avrà
mai vincitori, ma solo vinti.
Un’altra parte di me, sorpresa!, comprende, anche se non condivide nel modo più
assoluto, una scelta così diversa dalla mia, dettata dallo stesso senso di impotenza
davanti all’immanenza della Vita e dei suoi rischi.
Resto lì, imbambolata a guardarlo per quell’interminabile frazione di secondo in cui questi
pensieri mi hanno sconvolta.
Poi il mio sguardo sale e arriva al suo volto: guarda quei due aerei che sfrecciano
rumorosi, in una dissonanza assolutamente sgradevole rispetto alla circostanza che
stiamo vivendo.
Il suo volto è serio. Preoccupato. Chissà a cosa starà pensando: a quando partirà lui? Ai
soldati in volo che probabilmente conosce? A cosa dovrà lasciare per affrontare il dovere
che si è scelto? A cosa si troverà davanti una volta che sarà partito per il suo viaggio? Al
coraggio che dovrà trovare in se stesso e alle paure che dovrà combattere?
A spiegare le sue scelte alla sua coscienza?
Non lo so, salgo insieme ai suoi occhi sulla rotta dei due aerei.
Poiché non mi riesce proprio di credere che la Pace si costruisca con le armi, se vedo un
aereo militare per me sarà sempre e solo foriero di lutti...
...e penso.
Penso che un volo sia curvo come un arcobaleno. Ma un volo militare non può avere colori
diversi dal grigio fumo, dal rosso sangue e dal nero morte.
Penso che alla fine del volo, alla fine dell’arco, non ci sia una pentola colma di monete
d’oro.
Sono a una festa dell’asilo, piena di canti, sorrisi, occhi lucidi e gridolini.
E - per associazione, certo! - penso che al posto della pentola d’oro dovrebbe esserci una
festa di bambini colorati che cantano e ballano e sorridono alle loro mamme e ai loro
papà...e sento un male porco dentro il cuore.
Sento che tutti i bambini avrebbero diritto a questa fottuta festina dell’asilo, insieme alle
loro mamme e ai loro papà.
Sento che la nostra effimera serenità è un bagliore come quello delle gocce d’argento
degli abiti dei bimbi.
Sento una profonda ingiustizia nella nostra miopia che ci fa dare per scontate fortune
incommensurabili come quella di festeggiare i nostri bei bimbi alla fine della Scuola
Materna.
Mi chiedo come sarebbe una festina dell’asilo intrisa di sibili e bombe che cadono dal
cielo, o esplodono sotto i piedini, in un cortile polveroso, tra macerie rosse di sangue, con
bocche che si spalancano non per cantare ma per gridare orrore, lacrime che le guance le
scarnificano dal dolore e occhi che si chiudono per non vedere, non sentire, non sapere.
Un asilo in cui i bimbi volano quando le loro madri urlanti li strappano alla terra per portarli
qualche metro più in là in cerca di un’incerta salvezza...
Me lo chiedo. E mi chiedo se questi pensieri siano appartenuti solo a me, che me li sono
portata a casa con il loro peso, senza dire nulla a nessuno, se non a voi, adesso.
Porca miseria, quando diventeremo davvero civili?
Ci sarà mai un tempo in cui si comprenderà davvero che il benessere dev’essere
collettivo, se si vuole la Pace?
Siamo talmente ipocriti che spendiamo anni a educare i nostri bambini alla Pace,
all’educazione, al rispetto per gli altri e per la Natura, mentre i cattolici scomodano più
volte al giorno quel povero bambin Gesù che dice che siamo tutti uguali, e poi...poi
diventano adulti e facciamo in modo che tutto quello che è stato insegnato, venga
ribaltato, strumentalizzato, offeso, stravolto e negato.
A che pro, allora, tanta fatica per insegnare buoni principi, buoni valori e buoni sentimenti?
Io credo che dobbiamo farcela questa domanda e scegliere, scegliere tutti i giorni di
coltivare quanto abbiamo seminato perché, se ci pensiamo un attimo, a nessuno piace
faticare a vuoto ...e allora ...non sprechiamo quanto ha già iniziato a germogliare.
Credo di avervi portati con me in un mare tempestoso, stavolta, dove il cuore fatica a
mantenere la rotta.
Se non vi è bastato... potete tornare a bordo con le repliche di giovedì e sabato alle 11.00,
o successivamente cercare Elena Furio su blogspot.
Ancora un caloroso grazie a tutti voi e alla Ciurma di Radio Pirata - la Radio nella Radio.
A te, Gabriele...