Ed eccomi a bordo anche oggi, cari i miei Pirati di Radio e di Terra!
Oggi, dove vi porterò con il mio bordeggio? Da dove partiremo, ma soprattutto, dove
approderemo tra racconti, riflessioni e considerazioni?
Salite a bordo, aprite il cuore e lasciate alla deriva i pregiudizi...
Come dicevo qualche tempo fa, io, eli the worst, ho avuto la fortuna di nascere mezzo
secolo fa in un Paese di provincia, coccolata nipote della Maestra con la “m” maiuscola...
Ma in quell’epoca, che ora sembra lontana quasi quanto la preistoria, sussisteva un tempo
umano che ora, e non credo per mia mancanza, non ritrovo...
Ricordo la nonna che chiamava el Longo, un anziano Signore che all’occorrenza offriva i
suoi servizi come giardiniere, ricordo Zino che veniva semplicemente per cambiare le
lampadine...
A me sembravano anziani, ma si sa, quando si è bambini già i trentenni ci sembrano
incredibilmente vecchi...
Per contro, però, c’era il nipote della Nori che l’aiutava a dar da mangiare agli animali della
fattoria, e c’ero io che a volte mi trovavo ospite gradita mentre in classe una delle zie
insegnava ai ragazzi grandi...
Comunque, tornando a noi e a quanto poco o tanto vi ho già raccontato, io poi ho
abbandonato il mio Paese e sono approdata in città, venendo poi “distribuita” - se così si
può dire - tra una realtà e l’altra durante l’estate.
Se mi si chiedesse quando ho iniziato a lavorare...potrei quasi dire di aver iniziato a 6 o 7
anni: bionda come una tedesca e agghindata col tipico sari indiano, accoglievo con la
serietà che solo i bimbi che si prendono sul serio sono in grado di avere, la clientela che
entrava nel negozio di articoli orientali che era di proprietà di una zia: ogni anno, nelle
vacanze estive e natalizie, giocavo a fare la commessa, completamente calata nella parte,
passando via via da mascotte del negozio a ragazzina capace e competente nel trattare
con i clienti, nel disporre le vetrine, nell’illustrare la fattura e la provenienza di abiti e monili
e nel riconoscere con sicurezza pietre dure dei vari Paesi.
Imparavo, inconsapevole e leggera, orgogliosa del mio diventare capace sempre un po’ di
più...
Non avevo contratti, né orari, né stipendi: quando c’ero, semplicemente aiutavo e aiutando
imparavo e venivo pagata con regali che potevo scegliere tra le cose da mille e una notte
che mi circondavano in quel bellissimo negozio intriso di profumi d’incenso.
Ebbi il massimo della soddisfazione l’anno in cui, quattordicenne, mi occupai per quasi
tutto agosto del negozio, sola nella vendita e negli allestimenti, con l’unico appoggio del
figlio diciottenne della commessa per quanto riguardava la contabilità: nel caldo agosto
cittadino, riuscii a vendere più di quanto non avessero venduto la zia e la sua commessa
nelle festività di Natale.
Non credo di dovervi spiegare quanto questo abbia sostenuto la mia autostima, mi abbia
permesso di essere fiera di me, mi abbia fatta sentire in gamba!
In quel periodo dalla zia, orbitava anche un gruppetto di altri adolescenti, un po’ più grandi
di me: chi si occupava di dare una mano con gli svariati animali che abitavano la casa, chi
con le sue tre bimbe, chi faceva per lei qualche commissione, chi l’aiutava a caricare e
scaricare la macchina costantemente strastipata di merce del negozio, di panni da lavare
provenienti dalla pizzeria di proprietà del marito, di tutte le cose che seguono
invariabilmente tre bimbe piccole e una cugina un po’ più grande.
Tutti tornavano a casa contenti, tutti orgogliosi del loro lavoretto dal quale ricevevano
mance una tantum, mance certe e non concordate, ringraziamenti concreti per la loro
buona volontà. Con alcuni di loro, che in quel caso erano effettivamente assunti, imparavo
a far la cameriera e a servire al bar: ero in famiglia, mi rendevo utile, mi divertivo,
imparavo ed ero soddisfatta e gratificata.
E intanto, tutti si cresceva.
Con lo stesso sistema, frequentando curiosa altri laboratori artigianali di amici di famiglia,
ho imparato un po’ a far cornici, ad aggiustare piccoli elettrodomestici, a usare la
macchina da cucire, a risolvermi piccoli guai meccanici del motorino prima e dell’auto poi...
Allo stesso modo i miei amici davano una mano nelle attività famigliari, aiutavano a tempo
perso le loro madri e consegnavano il prodotto dei lavori che un tempo magliaie,
intarsiatrici e confezionatrici di tomaie facevano a casa accudendo allo stesso tempo le
loro famiglie.
Caspita...quando sarà stato?
Mille anni fa?
No, ora ricordo: non più di trenta...
A quel tempo non era tutto così fiscale e regolamentato; a quel tempo non era il diploma
ad aprirti una via, ma l’esperienza acquisita sul campo, a quel tempo andare a fare
assistenza ad una persona ospedalizzata era cosa umana per chi si offriva e per chi
riceveva, cosa che nasceva sul passaparola e sulla fiducia reciproca, a quel tempo c’era
meno forma e più sostanza, meno scartoffie e più esperienza.
A quel tempo non mancavano i pericoli, e non mancavano nemmeno i rischi e
probabilmente quasi nessuno aveva un’assicurazione che li coprisse, però c’erano altre
cose: c’erano i riferimenti: persone accanto alle quali si cresceva umanamente e
lavorativamente, a quei tempi davanti a un incidente di qualsiasi natura anziché puntare il
dito, ci si raccoglieva intorno allo sventurato per rimettere in sesto quanto si poteva,
perché era chiaro a tutti che l’incidente è imprevedibile per antonomasia e insito nel vivere
quanto lo è uno starnuto nel corso di una stagione fredda...
Io sto per dire quanto dirò...perché, in quanto Bastiàn Contrario, in un certo senso ne ho
ruolo e titolo.
So di andare contro un muro se non esalto il lavoro in regola e le pezze giustificative, ma a
me, sta cosa, puzza né più né meno della legge sulla privacy, che tutela solo chi ha cose
da nascondere.
Se è vero che il lavoro in regola garantisce - o meglio, spesso promette soltanto di
garantire - il rispetto di certi diritti, dalla sperata pensione, alla copertura in caso di
malattie, ai riposi ecc ecc, è altrettanto vero che come sempre la rigidità è limitante e
riduttiva, tanto quanto l’eccessiva richiesta di titoli che troppo spesso, alla resa dei
conti si rivelano assolutamente inversamente proporzionali alla capacità di chi esegue i
lavori rispetto a molti che li hanno svolti senza tanti diplomi, inglesismi e ridondanza
burocratica.
Io trovo molti aspetti negativi in questa mitizzata regola (e le regole accessorie che le
fanno da corollario) che, a ben guardare, è - tanto per cambiare - una delle mille attenzioni
che lo Stato pone raccontando di farlo per i Cittadini stessi e non per controllare fino
all’ultimo centesimo nelle piccole tasche lasciando inviolate quelle ben più grandi.
Date le esperienze che ho raccontato, la prima cosa che mi crea un fastidio quasi fisico è
la folle pretesa di far passare i nostri ragazzi - che nella maggior parte dei casi provengono
da contesti in cui il senso di responsabilità è un aspetto opzionale e da un mondo
scolastico con pecche incommensurabili - a un mondo lavorativo e adulto per il quale, per
la prima volta nella storia, non esiste continuità formativa, educativa o familiare.
In Natura, gli animali adulti attraverso il gioco insegnano ai cuccioli le regole della
sopravvivenza a seconda dell’ambiente da cui provengono e nel quale devono vivere.
Il lavoro/non lavoro che ho sperimentato anch’io, è l’equivalente in contesto umano.
La sua assenza in virtù del rispetto di una posizione lavorativa legata alla regola porta,
sempre secondo me, a inserirsi in un contesto lavorativo, così, d'emblée, senza la forza
dell’esperienza di chi ci è vicino e ci ha preceduti. Ci saranno sicuramente casi in cui
questo va più che bene, casi in cui non c’è un’esperienza precedente che possa
sostenere, ma l’alienazione contingente e competitiva che si è creata negli ambiti
lavorativi, che ci fa sentire sempre più isolati, più soli, più fragili e ricattabili, anziché
tutelarci ci ha portati a una grande regressione rispetto ai diritti acquisiti con tanti sacrifici
nel secolo scorso, perché la Legge non arriva comunque dove leggi non scritte vengono
rispettate con sottomesso e tacito consenso...
Prendiamo in considerazione la parola collaborare, nel senso stretto di lavorare insieme,
indicato dal termine stesso, è sicuramente una condizione meno frustrante e demotivante
che lavorare da soli, e a quanto pare anche più produttiva se non addirittura, in casi
specifici, anche più creativa e quindi risolutiva che far da soli, e inoltre ci rende più forti, ci
permette di confrontarci, di sostenerci gli uni con gli altri, ci fa sentire gruppo e meno
vulnerabili.
Tornando al mio disappunto per la regola a tutti i costi, vuoi mettere la possibilità di
arrotondare in un mese più difficile facendo anche cose davvero occasionali? Entrare per
caso in un bar in una sera davvero più caotica del solito e poter dire al titolare
semplicemente “Serve una mano?” e risolvere lì, al momento, il problema DEL momento...
Senza considerare la gioia che scaturisce quando si fa quel che serve quando serve!
Non voglio dilungarmi: tutti gli esempi che mi vengono in mente alla fine convogliano sulla
possibilità di imparare a crescere con naturalezza, e contribuire personalmente agli eventi
senza i filtri imposti dalle solite paure che vediamo emergere tutti i giorni nella fottuta e
irreale convinzione che prima o poi potremo controllare tutto evitando così... il rischio di
vivere!
Bene, per oggi è tutto. Spero, come sempre di avervi fatto fare buon viaggio...
Ringrazio tutta la ciurma di Radio Pirata - la Radio nella Radio e il buon sito di yastaradio
dal quale prendiamo ogni volta il largo nel nostro mare.
Vi ricordo che ci trovate su facebook e sul sito, appunto di yastaradio.com e che il mio
Bastian Contrario vi aspetta col resto della ciurma nelle repliche del giovedì e del sabato
alle 11.00 e successivamente, in solitaria, cercando Elena Furio su blogspot.
Al prossimo bordeggio...eli the worst!