Era l’11 settembre del 2001
Io non so di chi sia stata la responsabilità di quel giorno così buio della Nostra Storia, i cui
effetti di disumanizzazione si stanno propagando ancora e sempre più, amplificati nel
tempo ...
La parte di notizia di cui mi fido è quella che racconta di quasi 3000 Persone vittime di
quell’incommensurabile tragedia...ma non so quante altre Persone furono testimoni di
quegli eventi: so comunque che la vita di ciascuno di noi, in un modo o nell’altro, è stata
segnata, se non altro dalle decisioni politiche che si sono succedute nel tempo.
Ma ora, vorrei soffermarmi in quel tempo tremendo, statico, irreale immediatamente
successivo alle esplosioni, quel tempo la cui pesantezza, lentezza e intensità non ci è
nemmeno dato di immaginare, fortunati noi...
Quei momenti in cui nessuno dei tuoi riferimenti è accessibile, raggiungibile,
identificabile...
Urla, fumo, paura, orrore, incredulità, confusione, disorientamento, sangue,
preoccupazione per chi non si trova, per chi non si raggiunge, ferite, dolore fisico,
preoccupazione per chi si ama, impossibilità di comprendere quanto accaduto, di intuire la
sua portata...
“Quanti siamo in questo inferno?” “Cos’è successo?” “E’ solo qui?” “La mia casa...la mia
casa...è esplosa anche la mia casa?” “La mia collega...era qui...” “Mio figlio...devo avvisare
mio figlio...il telefono ...dov’è?” “Aiutatemi...” “Non vedo nulla...” “Mamma...!” “Alzati, ti
prego, alzati...” “Non lasciarmi solo...ho paura” “Chi sei? Non ti riconosco...chi sei?” “Cosa
facciamo? cosa facciamo...?” “Sono intrappolata...aiutatemi...vi prego aiutatemi...” “Di
qua...di qua...si esce di qua..” “E’morto...è morto...” “Mia figlia...ditele che la amavo...”
Io, lo ammetto, ho paura a cercare di immaginare oltre, di cercare di vedere le espressioni
di quei visi, di sentire l’odore di carni che si cuociono tra le fiamme, di assaggiare la paura,
di ibernare le emozioni per cercare tra le fiamme e le macerie i corpi di chi mi fosse stato
accanto pochi istanti prima... Non avere risposte, non sapere se quello che stava
capitando a me, avesse colpito l’intera città, o il mondo intero...
Come vi sareste sentiti, voi, lì, così... Voi ce la fate a lasciare libero il vostro immaginario e
a seguire le immagini dentro la vostra testa senza temere di esserne sopraffatti?
Eppure...per noi...noi fortunati...sono solo immagini. Fantasie.
Comunque, riprendiamo.
Quelle persone così atterrite, disperate, spaventate e confuse, quelle che si sono salvate,
ovviamente, sono riuscite in qualche modo ad uscire da quelle trappole letali...certamente
distrutte interiormente, certamente sotto shock, certamente diverse e per sempre da
quando erano entrate nelle Torri Gemelle per affrontare la consueta routine giornaliera.
In quello stato di annichilimento, prive quasi di coscienza, desiderose solo di non sapere,
non pensare, non vedere...
Chi di noi non avrebbe voluto portare conforto a chi era vittima di quello strazio? Chi di noi
non ha sentito vibrare nella propria pelle, nelle proprie viscere il terrore e la gratitudine
quasi vergognosa per aver avuto la fortuna di non essere là in quel momento? Chi di noi
non avrebbe fatto qualsiasi cosa ci fosse chiesta per lenire e tamponare quel dolore e
quello sgomento che percepivamo quasi nostro?
Ci siamo sentiti tutti così vicini, così violati, così uniti...così umani!
Forse abbiamo “assaggiato”, passatemi il termine, quel concetto che echeggia
sommessamente a ricordarci che non siamo divisi, ma siamo UNO...
Si diventa piccoli, quando si soffre...si torna bambini e si cerca una protezione forte,
qualcuno cui affidarsi che ci guidi, ci protegga e ci dica che non dobbiamo preoccuparci
più...che tutto è finito...e lo sappiamo bene quanto siamo vulnerabili quando si soffre
davvero.
In quei momenti, si è in balia di chiunque faccia il gesto di accogliere, di guidare, di
risolvere...
E se fra i soccorritori...non ci fossero state tutte brave persone?
Se ci fossero stati traditori, ingannatori, sfruttatori, sciacalli ad oltranza?
Se le persone scampate alla distruzione dell’11 settembre fossero state circuite da
malfattori... fossero state rassicurate con false promesse o con false informazioni sullo
stato di cose generale e indirizzate su barconi non meglio identificati e portate in Europa?
Come avremmo accolto i nostri fratelli Americani, vittime del terrore, privati della loro vita,
dei loro affetti, delle loro certezze, dei loro sogni, delle loro speranze, dei germogli del loro
futuro?
Non avremmo pensato che avrebbero avuto bisogno e diritto ad un po’ di calore umano, a
cercare di restare in contatto con quanto avevano lasciato in America, a ritrovare persone
amiche invece che essere costretti a condividere l’esperienza con altri sfortunati ma
estranei? A mangiare qualcosa che li facesse sentire un po’ a casa, visto che nel cibo c’è
anche la storia di un popolo, a imparare la lingua per esternare i loro stati d’animo e i loro
bisogni o per creare relazioni affettive?
Non sarebbero gli stessi nostri bisogni se solo fossimo, seppure senza tragedie alle spalle,
in un Paese estraneo, senza amici, senza punti di riferimento, senza capacità di
comunicare? Come ci sentiremmo in quello stato?
E a questo punto, cosa ci impedisce di riconoscere la stessa intima tragedia, lo stesso
terrore, lo stesso vuoto esistenziale nei Fratelli che fuggono dalle guerre, dalla povertà, dal
terrorismo politico cercando tra i mali quello che appare il minore, quello che appare
comunque salvifico rispetto a quanto c’è intorno...?
Non tenteremmo noi stessi di salvarci, di salvare i nostri figli anche a costo della nostra
stessa vita se fossero in pericolo?
L’istinto di sopravvivenza è nella Natura dell’Uomo ed è sacro come per ogni altro essere
vivente... Ci si gioca tutto per non soccombere...e non è facile il percorso.
Capisco che non sia facile nemmeno per noi, comprendere pienamente.
So perfettamente che l’unico modo per conoscere davvero qualcosa è sperimentarla con
al propria vita.
Ma la sofferenza, la paura, la solitudine, l’incertezza per il futuro e la prepotente forza della
Vita che ci scorre dentro, le conosciamo tutti e vi confesso che non sono così ansiosa di
sperimentare in prima persona la guerra, o la violenza, o l’uccisione dei miei famigliari
davanti ai miei stessi occhi, o l’incendio della mia casa con chi c’è dentro per cercare di
capire almeno un po’ le ragioni dei profughi.
Non sono curiosa di sperimentare e vorrei che nessuno dovesse sperimentare ferite così
profonde e non rimarginabili...
Gandhi analizzava ogni sera le azioni di violenza che aveva vissuto durante il giorno, che
fossero state a carico d’altri o che riguardassero la sua persona sia come vittima che
come autore.
Questo gli permetteva di correggere costantemente il proprio comportamento e di
riconoscere la violenza anche in quei comportamenti che magari aveva sottovalutato o gli
erano sfuggiti.
...e aveva capito bene che anche l’umiliazione, la frustrazione, il non riconoscimento della
propria dignità da parte d’altri erano bombe a orologeria, perchè l’animo umano ha una
capienza limitata, una misura oltre la quale la ribellione esplode...
Banale a dirsi, ma il primo passo dovrebbe sempre essere quello di cercare di mettersi nei
panni dell’altro e accoglierlo come noi stessi vorremmo essere accolti e non nella forma,
ma nella sostanza del cuore...